sabato 12 luglio 2008







08.07.2008
GIAMPIERO PAGLIOCHINI IN VIAGGIO LUNGO LA VIA DELLA SETA.
Un nuovo reportage dal cuore dell'India. Il viaggio del nostro Giampiero lungo la Via della Seta non è che all'inizio.
Ecco un nuovo reportage dal cuore dell’Asia. Il viaggio lungo la Via della Seta non è che all’inizio e, grazie al nostro Giampiero Pagliochini, posiamo riviverne le sensazioni in tempo reale. Non rimane altro che goderci queste poche righe e, per quanto possibile, farle nostre. “SufiKar discute animatamente con i suoi collaboratori. C'è da dividere una torta e, in classico stile orientale, tutto diventa contrattazione. Finalmente lasciamo alle spalle la dogana dopo due giorni di trafile burocratiche e richieste fuori luogo come i 500 euro subito rimangiati dopo una foto con minaccia di intervento della polizia. Lahore è nel caos già di mattino. Imbocchiamo l'autostrada per Islamabad, al casello la poliziotta non ha dubbi, le moto non hanno accesso e così non resta he prendere la normale. Sautordin ci attende a Zero Point, una sorta di confluenza della rete viaria della capitale. Fa caldo. Alle 20 appuntamento per la cena che consumiamo all'aperto in un ristorante afghano. E' l'occasione per capire cosa fare sulla Karakorum, strada che porta in Cina, un caleidoscopio di etnie, almeno cinque sono le lingue parlate e altrettante le etnie presenti. L'indomani imbocchiamo la KKH. Quando arriviamo a Besham tutto da l'idea del caotico, non c'è energia elettrica, per strada tanta confusione, e noi esaminati dalla testa ai piedi. Tutti mi sembrano Talebani; stesse barbe, uguale modo di vestire, di sicuro un idea distorta che mi porto dietro, ma così è. Dopo Besham costeggiamo l'Indo, uno tra i fiumi più antichi della storia, una forza della natura; d'altra parte i luoghi da dove nasce hanno dalla loro le montagne più alte del mondo. Ogni sosta diventa l'occasione per scambiare idee; cordialità e ospitalità sono abitudini radicate. Ciò che ci affascina di più sono i camion, un icona della KKH, dipinti con figure di vita quotidiana, hanno dalla loro ornamenti da veri atelier. Gilgit ci accoglie con un temporale estivo. L'hotel Continental sarà per due giorni il nostro riferimento con un guardiano che puntualmente ci lustrerà le moto. Al mattino diventa indispensabile capire cosa ha scritto l'agenzia cinese dato che le notizie a nostra disposizione sono limitate. Il passaggio della torcia olimpica, guarda caso sulla stessa strada che dobbiamo percorrere, ha bloccato le autorizzazioni da parte delle autorità. Se non fosse per le testardaggine nel voler andare avanti ci sarebbe da chiedersi chi ce lo fa fare ma anche questo è il viaggio. Tornati in albergo seguiamo la parallela del KKH per la valle della Naltar Valley. La strada si inerpica tra le gole strette del fiume Gilgit, siamo in fuoristrada, sopra di noi svettano gli imponenti ghiacciai. Dopo il paese ed il relativo controllo dei militari, il tragitto si fa più impegnativo. Attraversando un guado l'acqua arriva sino al motore, poi la strada si riduce ad un pietraia, finalmente giungiamo al lago, con le sue acque turchesi e sullo sfondo le cime innevate, sembra un paesaggio alpino ma siamo in Pakistan. E' sera quando rientriamo a Gilgit. Ho finalmente verificato le doti in fuoristrada della 690, una mountainbike con un motore prepotente ma parco nei consumi, sulla KKH ho percorso 25 km con un litro. Lasciamo Gilgit per Karimabad, ora la KKH si fa più interessante, passaggi spettacolari, sullo sfondo le montagne dominano incontrastae con i loro ghiacciai perenni e poi lui, l'Indo onnipresente. Karimbad è stato per secoli il regno Huinza. Oggi, quello che resta di un passato glorioso, è il castello che sovrasta la cittadina, come tiene a precisare la guida in puro stile tibetano. Purtroppo le notizie dell'agenzia cinese non sono delle migliori, ogni giorno c'è una novità e mai una certezza. Decidiamo comunque di lasciare il Pakistan, superare il Kunjurab Pass per poi arrivare alla frontiera. Di mattino presto lasciamo Karimabad, dopo cinque ore giungiamo al Khunjerab, 4730 Mt, il passo piu’ alto del mondo; nevica, poi due km e la frontiera cinese ma e’ un’altra storia.” “Ci siamo lasciati da Kasghar ma non ho ancora raccontato le difficoltà doganali. Dal confine a Tashgorgan scortati da un militare ed in compagnia di una jeep con turisti cinesi. La nostra guida ci aspetta in dogana dove gli addetti controllano il tutto con fiscalita’, misurazione della temperatura corporea compresa. Poi accade l’incredibile. Per uscire dalla dogana la nostra guida è costretta a noleggiare un piccolo camion, dobbiamo caricare le moto. Solo dopo 2 km, al primo distributore, possiamo scaricare le moto e rimettirci finalmente in viaggio. Un giornata dedicata al mercato di Kasghar per poi l’indomani puntare diretti verso la frontiera, naturalmente in compagnia della guida. Presso la dogana di Irkestan l’addetto ai passaporti si ricorda di me passato ormai due anni fa, Andrea ne è testimone; certo una Kappa non passa inosservata. Poi la frontiera Kirghisa, sempre sgangherata. Il tempo di salutare e via verso Sary Tash. Siamo in off-road, che il divertimento abbia inizio. Le distese immense che si perdono all’orizzonte focalizzano i nostri occhi, Andrea si esalta. Giungiamo a Sary Tash e troviamo dove riposre. Ci propongono un qualcosa che certo non possiamo accettare; praticamente quattro metri quadri di terra con immondizia ovunque. Fortunatamente abbiamo un nome, Endeshe Ashyrov, qui troviamo camere dignitose e un piatto caldo. Al mattino puntiamo le ruote verso il Tagikistan, la M41, l’autostrada del Pamir, dopo la Karakorum è la seconda strada piu’ alta del mondo. Certo il termine autostrada va un po largo ma i russi, al tempo della grande Unione Sovietica, nell’enfasi della comunicazione, ne esaltarono la grandiosita’. Se la Karakorum ci aveva affascinati, la Pamir ti fa sentire veramente sul tetto del mondo. I panorami sono vere e proprie cartoline naturali. Superata la frontiera Kirghiza saliamo verso il passo Kyzyl-Art, 4282 mt, dove fanno bella figura un disegno del Tagikistan e la pecora di Marco Polo, la cui caratteristica e’ quella di avere le corna. Siamo nel corridoio del Wakaham, dove anche il veneziano rimase colpito dalle bellezze naturali del luogo, ed a seguire la frontiera Tagika. Sono due ore che viaggiamo e non abbiamo incontrato ancora nessuno. Arriveremo solo in tarda serata a Murghab, e non avremo incontrato più di tre mezzi. Paese che vai stranezze che trovi, ma non sono Tagike bensi’ Cinesi. Il confine tra i due stati corre per km e i Cinesi hanno piantato un infinita’ di pali e filo spinato. Questo per tutta la linea di confine. In lontananza ci appare una macchia turchese dove si specchiano le montagne innevate; e’ il lago Kara Koul, nome identico a quello cinese ma di dimensioni piu’ grandi. Formatosi dopo la caduta di un meteorite piu’ di 10000 anni fa’, è, con i suoi 3970 mt, il lago piu’ alto dell’Asia, per lo piu’ salato. Superato il passo Ak- Baintal (cavallo bianco), 4655 mt, giungiamo a Murgab. Con alle spalle Murgab il paesaggio ricalca quello dei giorni precedenti, fa freddo e ogni tanto qualche presenza umana. Viene da chiedersi come si possa vivere senza tutti i nostri confort, non c’e’ energia, l’acqua e’ quella che scorre dai monti, un’ altro mondo. Se si dovesse dare un interpretazione del crollo dell’ex Unione Sovietica, il Tagikistan ne e’ la cartina tornasole; le strade sono un disastro e non parlo dei luoghi sperduti della Pamir Road, ma di quello che incontreremo fino a Dushanbe’, la Capitale. Le stazioni di servizio non sono altro che vecchie pompe preistoriche dove la benzina si vende a bottiglie o a secchi, solo 80 ottani; per fortuna che KTM consiglia non piu’ di un pieno con questa benzina, ne avro’ fatti piu’ di dieci. Uno stato cuscinetto a difesa dalla Cina e l’Afghanistan, cartelli sinistri parlano della presenza di zone minate ma malgrado ciò la gente e’ cordiale, mai ostile, una ragione in piu’ per dire che i sovietici hanno comesso errori che solo con gli anni si pianificheranno. E’ sera quando sostiamo a Kailychum in un hotel della fondazione Aga Khan. L’Afghanistan per giorni e’ il nostro dilemma; abbiamo il visto ma il ritardo accumulato non lascia molto spazio, considerando le date dei visti dei paesi a venire. A Dushanbe’ tiriamo le somme. Andrea, che lavora a Kabul, ha un debito con se stesso, una promessa fatta di arrivare a Kabul. I suoi amici l’aspettano in frontiera dal mattino, un andata e ritorno in 2 giorni con l’incognita dell’autorizzazione per l’entrata delle moto, che per certo so che occorre. Non e’ una ritirata ma personalmente non rientra nelle mie idee una toccata e fuga. Andare a Kabul per dormire e poi partire lo vedo un rischio inutile. Lui va, io resto e proseguiro’ l’indomani per l’itinerario iniziale. A sera mi giunge un messaggio ”bloccato in frontiera afghana per domani dovrei avere l’autorizzazione per la moto”, incrocio le dita, tanta temerarieta’ va premiata. Da Dushanbe Capiatale del Tagikistan e’ tutto A presto Giampiero

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